giovedì 27 febbraio 2014

Moonstone Nothing

Quando si alzò dal letto quel mattino, Tyler aveva un tremendo mal di testa. Steso sul letto dell'hotel cercava di ricordare cosa fosse successo il mattino precedente. Aveva i postumi da sbornia e non riusciva nemmeno ad aprire gli occhi. Riusciva a rievocare solo brevi flashback. Luci da discoteca. Alcool. Profumi intensi. Alcool. Una ballerina seminuda. Alcool. Una bella ragazza sola con lui nel privet, ma non ne ricordava il viso. Non avrebbe saputo dire per quanto tempo era rimasto nel letto in stato semi-cosciente, ma quando Luke entrò nella stanza dicendo - Buongiorno! - con fare allegro, la testa gli causò un dolore allucinante.
Tyler provò a bofonchiare un "Vaffanculo", ma il cervello  non riusciva a formulare una frase completa. - Ti ordino un Gin Tonic per tirarti su? - rise Luke - Ah no, aspetta cos'era quello di ieri sera? Long island? Manhattan? Tutti e due? - con gli occhi chiuse Tyler non poteva neanche spiare i movimenti dell'amico - Davvero, quanti te ne sei fatti? Perchè dopo che sei entrato nel privet ho perso il conto. Tra l'altro, la ragazza che ti sei portato com'era? Non vi ho visti riemergere per un po', quindi immagino ti sia piaciuto, eh? - Luke continuava il suo lungo monologo incurante dei lamenti di Tyler, finchè Chloe entrò nella stanza.
- Luke ti ho cercato ovunque, che stai facendo qui? - Luke provò a spiegare, ma lei lo fermò - No, anzi, non lo voglio sapere, esci e basta, fatti una doccia, fa colazione, quello che vuoi! - il ragazzo filò via senza fiatare.
- Ora passiamo a te - disse con tono minaccioso Chloe - Se io ti dico "Stasera non eccedere" significa che non devi eccedere, se ti dico "Non vengo perché mi voglio fidare" significa che devi fare quello che ti ho detto, se ti dico "Altrimenti ti seguo anche nei tuoi stupidi privet", significa che la prossima volta ti tallonerò ovunque! Ti è chiaro il concetto? - Tyler emise un grugnito - Sai ora cosa faremo, carino? Chiameremo la cucina e ci faremo preparare la bevanda più disgustosa che hanno, così tu vomiterai e ti sentirai meglio. Ti farai una doccia veloce, ti metterai i vestiti che sceglierò io e andrai comunque ad incontrare le fan. E ti piacerà, sarai solare, adorabile e carino, e tutti ti adoreranno. Altrimenti faccio mandare a prendere tua madre e la portiamo con noi per tutto il tour! Ti piace la prospettiva? - Tyler non rispose e Chloe non aspettò una risposta. Pochi minuti dopo lo obbligò ad ingurgitare una bevanda disgustosa, li resse la testa mentre vomitava e aspettò fuori dalla porta del bagno che si facesse una doccia. La stilista e il truccatore si presentarono subito in camera e quando ne uscì era perfetto.
Luke e gli altri membri dei Moonstone Nothing erano già pronti. Scherzarono tra di loro fino all'arrivo dei fan, poi firmarono autografi e posarono per foto per due lunghe ore.

venerdì 24 gennaio 2014

Dave - 15 Giugno.

15 Giugno.

Ho mal di testa. Di nuovo. Mi investe come un’onda e si porta via tutto ciò che sono. Resta solo il dolore. In quel momento, io sono dolore.
Il dottore mi ha detto di scrivere dopo aver preso la medicina. Ha detto che mi aiuta a mantenere il contatto con la realtà. Io non credo funzioni molto bene, perché la mia mano mi sembra verde adesso. E quella che spero sia una penna è un dito. Non c’è una mano attaccata al dito. L’inchiostro con cui sto scrivendo è rosso. Temo sia sangue.
Sto avendo un’altra allucinazione. Devo stare calmo. Mantenere il contatto con la realtà. Il dottore mi ha detto di ripetere ciò che so quando succede.
Mi chiamo Dave. Ho diciassette anni. Sono alto un metro e settantatré centimetri. Peso sessanta chili. I miei capelli sono bruni. I miei occhi sono grigi. Ho preso la medicina. Qualcuno sta urlando. O forse no. O forse sì. Forse sono io. Sono io che urlo. Sono io che urlo? Non lo so.
Non mi riesco a tenere sotto controllo. M sto sfuggendo di mano.
Mantenere contatto con la realtà.
Mi chiamo Dave. Ho diciassette anni. Sono alto tre metri e quarantadue centimetri. No, questo non è vero.
Mantenere contatto con la realtà.
Mi chiamo Dave. Ho settantatré anni. No, non è vero. O sì?
Mantenere contatto con la realtà.
La stanza si sta riempiendo d’acqua. Tra poco non riuscirò più a respirare. Qualcuno urla. Forse sono io.


martedì 21 gennaio 2014

Divergent - Recensione

Ho letto questo libro in un weekend. in genere significa che mi è piaciuto tantissimo, ma in questo caso non è proprio così. Divergent è uno di quei libri che non so dire se mi sia piaciuto o meno.
La trama di base è carina e anche la storia d'amore (non voglio spoilerare niente, quindi mi fermerò qui) è bella, ma nei momenti cruciali ho trovato entrambi deludenti.
Il fatto che la protagonista sia divergente non la rende poi così diversa dagli altri fino all'ultimo, quando il suo essere divergente la rende veramente speciale. Ecco, ho pensato che avrebbe dovuto avere più peso. Poi ho trovato delle incongruenze, senza anticipare nulla posso solo dire che le viene detta di non fare una cosa che l'avrebbe identificata come divergente, poi lei la fa e non le succede niente, mentre è stato detto che l'avrebbero riconosciuta e fatta fuori. Perché?
La storia d'amore è bella, come ho detto, ma i momenti importanti, come il primo bacio, non trasmettono tanto quanto dovrebbero, non ti fanno "sciogliere". Anche se mi ha appassionato molto.
Infine l'ho trovato piuttosto commerciale. Sinceramente l'ho letto perché su internet mettono molto spesso Divergent e Shadowhunter insieme a Harry Potter, Hunger Games e Percy Jackson. Io sono una grande fan di tutte e tre le saghe, di conseguenza mi sono voluta avvicinare anche a Divergent, mentre Shadowhunter non mi ha mai attratto più di tanto. Ma sono rimasta molto delusa. Ha molto da invidiare alle altre saghe! La trama era prevedibilissima, con giusto qualche nota inaspettata, e il come libro dipende troppo dagli altri! Da solo l'ho trovato insapore, molto diverso da La ragazza di fuoco, che pur avendo un finale tronco, è un libro "pieno". E ho anche trovato la protagonista molto simile (un po' troppo) a Katniss, ma questa potrebbe essere solo una mia impressione. Quattro è un personaggio che invece ho apprezzato moltissimo, inaspettato e più reale di molti altri.
Resta il fatto che me lo sono letta in soli due giorni e che non riuscivo a staccarmene. Non è scritto molto bene, ma scorre talmente veloce che gli si dà poco peso.
Per concludere, non so bene che voto dare a questo libro, comprerò il secondo e il terzo appena possibile, per farmi un'idea più chiara. Nel frattempo attendo anche il film, che, caso raro, credo potrebbe rivelarsi meglio del libro.
Chi di voi l'ha letto? Cosa ne pensate? Fatemi sapere con un commento qui sotto!

venerdì 17 gennaio 2014

Divina Commedia 2.0

“Nel mezzo del cammin di nostra vita
Mi ritrovai in una selva oscura
Che la diretta via era smarrita”
Puttanate.

Nel mezzo del cammin di nostra vita l’adulto medio ha un lavoro, una famiglia, delle certezze. Sa chi è. La selva oscura, se proprio vogliamo usare un’inutile metafora , si attraversa a diciassette anni, quando non sai cosa farai con la tua vita, litiga continuamente con chiunque e non una certezza manco a pagarla. E non sai neanche com’è fatta esattamente una fava, figuriamoci se sai chi sei tu.
Immagina poi di essere stato chiamato da tuo padre, un topo di biblioteca finito a fare il professore di italiano nel liceo in cui ti ha pure iscritto, Dante, come l’idiota che ha scritto una cosa pallosa come la Divina Commedia, e se l’è pure chiamata “divina” da solo.
Aggiungici poi una fidanzata morta da poco in un incidente e la conseguente depressione, è ovvio che poi avrai un…
- Cretino! – urla mia madre. La prof di matematica ha chiamato papà per chiedergli se gli avessi detto di aver preso 3 al compito. La risposta era ovvia: no. E comunque poteva pure chiederlo a me. – Come potevi pensare che non l’avremmo scoperto? – le mura di casa tremano. E io continuo a fissarla senza parlare.
- Dante – interviene mio padre, con un tono più calmo. – Dante devi cercare di riprenderti –
“Non ce la faccio” penso, ma senza dirlo. Dirlo lo renderebbe reale. E io non voglio piangere più.
- Dante – ripete di nuovo. Odio quel nome – Dante, guardami – io alzo leggermente lo sguardo. I miei occhi sono vuoti. Papà sospira. – Dante so cosa stai passando – comincia.
- Non è vero – sibilo – Tu non lo sai – il disprezzo nei miei occhi mentre lo guardo lo ferisce, lo so, ma lo faccio comunque.
Papà non parla. Non sa come rispondermi. Non lo sa mai.
- Dante – riprova mia madre, ma io la fermo prima che continui.
Solo la rabbia che ribolle dentro di me da mesi mi dà la forza di urlare – E piantala di chiamarmi con quel nome del cazzo! –
Papà sta per piangere. Odio quando è così patetico.
- Non provare a parlarmi così! – grida mia madre, ma anche la sua voce è incrinata.
- Perché, sennò cosa mi fai? – dico con tono di sfida. – La mia vita non potrebbe fare più schifo di così. – Silenzio. Una lacrima scende sulla guancia di papà. Non ce la faccio più. – Io me ne vado – prendo la giacca e il casco della moto, le chiavi sono sempre in tasca.
Parto a centoventi senza meta.

giovedì 16 gennaio 2014

La Locanda da zio Jo - 2

In camera l’arredamento era meno dispersivo. Delle pesanti coperte in patchwork ricoprivano gli alti letti di legno scuro che si trovavano al centro della stanza. Accanto al grande armadio lì di fronte si trovava una libreria provvista di una ventina di libri sulla Spagna e in spagnolo, tra cui un libro di poesie di Pablo Neruda in lingua originale. Fui sorpresa di trovarlo lì, visto che era uno dei miei autori preferiti.
Dopo aver sistemato le nostre cose nella camera ci ritrovammo tutti al piano di sotto, curiosi di chiedere informazioni circa le nostre stanza. Fu Marco a rispondere ai nostri quesiti: prenotando le stanze gli era stato detto che ognuna aveva un tema diverso e lui le aveva quindi scelte in base ai nostri interessi. Sapendo della mia passione per Neruda e visto che Chiara studia Lingue, tra cui appunto lo spagnolo, - Non ho potuto che ritenermi fortunate – ci confessò.
Quando arrivò l’ora di cena Anna ci chiamò per chiederci cosa volessimo. C’era un atmosfera molto casalinga con i due figli piccoli che preparavano i tavoli ridacchiando tra loro, Anna che andava personalmente da ogni ospite a prendere le ordinazioni, il fuoco scoppiettante e Carlo che leggeva il giornale dietro al bancone. Non sono molte le cose che si possono ordinare alla locanda, ma vi posso assicurare che, qualunque sia la vostra scelta, non ve ne pentirete.
Poco prima di cena arrivò un ragazzo che doveva avere quasi la nostra età. Era alto, snello, con un filo di barba e aveva occhi ghiaccio e capelli biondi. Entrando attirò lo sguardo di tutti i presenti, compresi i miei amici, i quali non si poterono trattenere dal commentare “Guarda da un’altra parte” o “Chi me lo presenta?”, a seconda del sesso. Io e Michele, che eravamo spesso infastiditi da questo genere di scenette, ci limitammo a rivolgerci un significativo sguardo d’intesa.
- Joey! – esclamò Anna appena le campanelline sopra la porta suonarono per il suo arrivo.
- È uno degli ospiti? – chiese Camilla. La domanda era sorta spontanea anche nella mia testa, data la particolarità del nome.
- Magari è lui lo zio Jo – rispose Chiara e tutti scoppiammo a ridere.
- Ma no! – rise Fabrizio che, senza che nessuno se ne accorgesse, si era seduto vicino a noi. – È Joseph, mio fratello – lo guardammo tutti confusi, ma prima che gli potessi chiedere come mai avessero due nomi così differenti, Marco gli chiese con un falsissimo tono arrabbiato – E tu da quanto ci stavi origliando? –
Fabrizio rise con la faccetta colpevole e scappò via, seguito a ruota da Marco.
Mentre gli altri si godevano la scenetta, io mi girai nuovamente verso Joseph. Era veramente bello, ma c’era qualcosa nel suo sguardo che mi incuriosiva. Era come un velo di tristezza che non riuscivo a spiegarmi. Poi lui si voltò verso di me e io mi rigirai facendo finta di niente. Michele mi stava guardando con uno dei suoi sguardi di chi la sa lunga.


giovedì 9 gennaio 2014

La locanda da zio Jo

"La locanda da zio Jo" si trova sulle Alpi italiane, in un piccolo paese di montagna poco rinomato, il che è ciò che la rende così speciale. La strada per arrivarvi non è affatto breve e anzi si deve passare per delle strade turbolente, che diventano spesso impraticabili a causa delle nevicate inaspettate che la colpiscono durante l'inverno, per cui non è raro che gli ospiti della locanda si debbano intrattenere più a lungo del previsto, ma non è mai un problema. Il signor Carlo Scherini e sua moglie Anna, infatti, sono sempre disponibili a venire incontro ai clienti in questi casi, oltre ad essere due persone adorabili.
Ho avuto modo di conoscerli nel Gennaio 2011 quando, insieme ad un gruppo di amici dell'università, decidemmo di visitare questo paesino sperduto nel quale i genitori di uno di noi avevano passato due settimane che descrivevano come "incantevoli". "Il paesaggio è stupendo" ci avevano detto "E la locanda è meglio di qualunque hotel in cui siamo mai stati! C'è un'atmosfera magica in quel posto, lo vedrete. E i proprietari sono persone così a modo!". La madre di Marco, il mio amico, era veramente estasiata.
Convinti dai prezzi modici più che dalla prospettiva di passare due settimane in una baita remota, partimmo alla volta della locanda. Oltre a me c'erano Marco, che avevo incontrato il primo giorno di corso all'università, Camilla, la sua ragazza, Chiara, Laura e Stefano, i miei coinquilini nonché amici storici, il ragazzo di Laura Valerio e Daniele, compagno di corso di Stefano. Avevamo prenotato quattro camere doppie e, dopo due ore di treno e due di autobus, eravamo finalmente giunti a destinazione.
Vicino al palo della fermata ci aspettava un ragazzino biondo, con indosso un cappello di lana rosso, un'enorme sciarpa a riporto, una giacca da sci e dei Moonboot. Guardandoci scendere con le nostre grandi valigie si avvicinò - Dovete venire a "La locanda da zio Jo"? - ci chiese sorridente. Aveva gli occhi azzurri che ridevano e il nasino rosso. - Sì, sei il facchino? - gli chiese scherzosamente Marco. - No, sono Fabrizio, quello che chiama per far venire il pulmino per portarvi alla locanda! - rise lui. Non doveva avere più di undici anni.
Chiamò il padre e in meno di dieci minuti eravamo all'interno dell'accogliente hall. Che non è affatto una hall.
L'ampio locale che si trova al primo piano è infatti una sorta di bar. Alla dozzina di tavolini che si trovavano sparsi qua e là si trovano sempre gruppetti di anziani e ragazzini che sorseggiano cioccolate calde o caffè corretti, a seconda dell'età. Di fronte al camino si trovano tre grandi divani in cui saremmo sprofondati ogni singola sera del nostro soggiorno nella locanda, intenti in lunghe chiacchierate. Ogni attimo che ho passato in quel locale un allegro chiacchiericcio ha sempre riempito l'atmosfera.
La cosa che però maggiormente mi colpì al nostro arrivo fu la quantità di oggetti che al momento trovai fuori luogo. Appesi alle pareti vi erano dipinti della Torre Eiffel, stampe cinesi, schizzi di bambini fatti a carboncino su cui, oltre la data, compariva la parola "Roma". Sul camino si trovavano bonsai di diversi tipi e cimeli antichi venivano accompagnati a foto di Street Art di New York. Su qualunque cosa poggiassi lo sguardo trovavo luoghi diversi, come se l'intero mondo fosse riunito in quella stanza. Come mi fece poi osservare Stefano, che è molto più bravo di me ad osservare, le bevande venivano servite in decine di tazze completamente diverse da loro: da piccole, antiche e orientali a quelle di gusto estremamente moderno.
Mi sentivo confusa ed affascinata. Al check-in non mi potei trattenere dal chiedere alla proprietaria, che insistette nel farsi chiamare Anna e farsi dare del tu, come mai ci fossero tante reliquie diverse in un posto del genere. "Oh cara, aspetta e vedrai. Mio cugino Joseph sarà qui domani e sentire la storia da lui te la farà gustare molto di più!" leggermente indispettita dalla risposta elusiva, mi avviai con Chiara nella nostra stanza, al secondo piano.

venerdì 3 gennaio 2014

Dave - 15 Giugno.

15 Giugno.

Ho mal di testa. Di nuovo. Mi investe come un’onda e si porta via tutto ciò che sono. Resta solo il dolore. In quel momento, io sono dolore.
Il dottore mi ha detto di scrivere dopo aver preso la medicina. Ha detto che mi aiuta a mantenere il contatto con la realtà. Io non credo funzioni molto bene, perché la mia mano mi sembra verde adesso. E quella che spero sia una penna è un dito. Non c’è una mano attaccata al dito. L’inchiostro con cui sto scrivendo è rosso. Temo sia sangue.
Sto avendo un’altra allucinazione. Devo stare calmo. Mantenere il contatto con la realtà. Il dottore mi ha detto di ripetere ciò che so quando succede.
Mi chiamo Dave. Ho diciassette anni. Sono alto un metro e settantatré centimetri. Peso sessanta chili. I miei capelli sono bruni. I miei occhi sono grigi. Ho preso la medicina. Qualcuno sta urlando. O forse no. O forse sì. Forse sono io. Sono io che urlo. Sono io che urlo? Non lo so.
Non mi riesco a tenere sotto controllo. M sto sfuggendo di mano.
Mantenere contatto con la realtà.
Mi chiamo Dave. Ho diciassette anni. Sono alto tre metri e quarantadue centimetri. No, questo non è vero.
Mantenere contatto con la realtà.
Mi chiamo Dave. Ho settantatré anni. No, non è vero. O sì?
Mantenere contatto con la realtà.

La stanza si sta riempiendo d’acqua. Tra poco non riuscirò più a respirare. Qualcuno urla. Forse sono io.