giovedì 9 gennaio 2014

La locanda da zio Jo

"La locanda da zio Jo" si trova sulle Alpi italiane, in un piccolo paese di montagna poco rinomato, il che è ciò che la rende così speciale. La strada per arrivarvi non è affatto breve e anzi si deve passare per delle strade turbolente, che diventano spesso impraticabili a causa delle nevicate inaspettate che la colpiscono durante l'inverno, per cui non è raro che gli ospiti della locanda si debbano intrattenere più a lungo del previsto, ma non è mai un problema. Il signor Carlo Scherini e sua moglie Anna, infatti, sono sempre disponibili a venire incontro ai clienti in questi casi, oltre ad essere due persone adorabili.
Ho avuto modo di conoscerli nel Gennaio 2011 quando, insieme ad un gruppo di amici dell'università, decidemmo di visitare questo paesino sperduto nel quale i genitori di uno di noi avevano passato due settimane che descrivevano come "incantevoli". "Il paesaggio è stupendo" ci avevano detto "E la locanda è meglio di qualunque hotel in cui siamo mai stati! C'è un'atmosfera magica in quel posto, lo vedrete. E i proprietari sono persone così a modo!". La madre di Marco, il mio amico, era veramente estasiata.
Convinti dai prezzi modici più che dalla prospettiva di passare due settimane in una baita remota, partimmo alla volta della locanda. Oltre a me c'erano Marco, che avevo incontrato il primo giorno di corso all'università, Camilla, la sua ragazza, Chiara, Laura e Stefano, i miei coinquilini nonché amici storici, il ragazzo di Laura Valerio e Daniele, compagno di corso di Stefano. Avevamo prenotato quattro camere doppie e, dopo due ore di treno e due di autobus, eravamo finalmente giunti a destinazione.
Vicino al palo della fermata ci aspettava un ragazzino biondo, con indosso un cappello di lana rosso, un'enorme sciarpa a riporto, una giacca da sci e dei Moonboot. Guardandoci scendere con le nostre grandi valigie si avvicinò - Dovete venire a "La locanda da zio Jo"? - ci chiese sorridente. Aveva gli occhi azzurri che ridevano e il nasino rosso. - Sì, sei il facchino? - gli chiese scherzosamente Marco. - No, sono Fabrizio, quello che chiama per far venire il pulmino per portarvi alla locanda! - rise lui. Non doveva avere più di undici anni.
Chiamò il padre e in meno di dieci minuti eravamo all'interno dell'accogliente hall. Che non è affatto una hall.
L'ampio locale che si trova al primo piano è infatti una sorta di bar. Alla dozzina di tavolini che si trovavano sparsi qua e là si trovano sempre gruppetti di anziani e ragazzini che sorseggiano cioccolate calde o caffè corretti, a seconda dell'età. Di fronte al camino si trovano tre grandi divani in cui saremmo sprofondati ogni singola sera del nostro soggiorno nella locanda, intenti in lunghe chiacchierate. Ogni attimo che ho passato in quel locale un allegro chiacchiericcio ha sempre riempito l'atmosfera.
La cosa che però maggiormente mi colpì al nostro arrivo fu la quantità di oggetti che al momento trovai fuori luogo. Appesi alle pareti vi erano dipinti della Torre Eiffel, stampe cinesi, schizzi di bambini fatti a carboncino su cui, oltre la data, compariva la parola "Roma". Sul camino si trovavano bonsai di diversi tipi e cimeli antichi venivano accompagnati a foto di Street Art di New York. Su qualunque cosa poggiassi lo sguardo trovavo luoghi diversi, come se l'intero mondo fosse riunito in quella stanza. Come mi fece poi osservare Stefano, che è molto più bravo di me ad osservare, le bevande venivano servite in decine di tazze completamente diverse da loro: da piccole, antiche e orientali a quelle di gusto estremamente moderno.
Mi sentivo confusa ed affascinata. Al check-in non mi potei trattenere dal chiedere alla proprietaria, che insistette nel farsi chiamare Anna e farsi dare del tu, come mai ci fossero tante reliquie diverse in un posto del genere. "Oh cara, aspetta e vedrai. Mio cugino Joseph sarà qui domani e sentire la storia da lui te la farà gustare molto di più!" leggermente indispettita dalla risposta elusiva, mi avviai con Chiara nella nostra stanza, al secondo piano.

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